Introduzione. Brevi considerazioni sul progetto Luiso e sugli emendamenti al Senato. La diffusione delle clausole arbitrali quale possibile obiettivo della riforma. E’ possibile un nuovo sistema di giustizia privata? una occasione persa. Conclusioni.
Il progetto di riforma “Luiso”, che si occupa del processo civile nell’ambito della più ampia riforma della Giustizia “Cartabia”, ha previsto che una delle direttrici della novella sia il maggior ricorso all’arbitrato; pur introducendo novità non marginali il progetto a mio avviso, non offre soluzioni che possano effettivamente portare ad una maggiore diffusione dell’arbitrato e trascura, invece, di innovare nel settore degli arbitrati dei contratti pubblici, viceversa, centrale nella logica di un rilancio economico a “trazione” pubblica.
Se l’arbitrato è visto nella riforma quale strumento di ausilio al rilancio dell’economia ovvero come alternativa al rinfoltimento dei ranghi dei giudici togati in prime cure, era necessario pensare a qualche azione innovativa volta a compulsare l’utilizzo più ampio dello strumento arbitrale, quantomeno con riferimento al contenzioso di impresa, settore nevralgico per il rilancio dell’economia e naturale approdo della giustizia privata: la globalizzazione e l’internazionalizzazione sempre più “fisiologica” dei rapporti commerciali, nel mondo[1], non solo spingono inevitabilmente il contenzioso di impresa verso la giustizia arbitrale[2], ma la stessa competizione tra le imprese e la loro capacità di competere sul mercato, nazionale ed internazionale, può essere frenata dagli effetti del contenzioso, specie se lungo e di durata imprevedibile.
La risoluzione arbitrale del contenzioso d’impresa in tempi celeri, costituisce, infatti, esigenza avvertita nelle economie dei paesi più avanzati che comprendono l’importanza del fattore tempo nella risoluzione delle controversie ed esecuzione dei contratti e considerano, a ragione, la celere risoluzione dei contrasti, quale fattore di competitività.
L’arbitrato è dunque utile e necessario non solo per le cause internazionali e di elevato valore, ma anche per il contenzioso di impresa di minor peso economico.
Tuttavia, perché la devoluzione arbitrale avvenga, si debbono creare le condizioni per il suo sviluppo, posto che l’alternativa privata alla giustizia togata, in Italia, non è ancora un “sistema” sufficientemente organizzato e regolato per dare garanzie strutturali di qualità della decisione, nonostante i costi della giustizia arbitrale privata non siano paragonabili a quelli, molto più contenuti, del servizio pubblico.
Il costo della giustizia arbitrale, se elevato in rapporto alla controversia, costituisce un limite “strutturale” alla sua diffusione.Ogniqualvolta i costi della decisione siano vicini o superiori al diritto in contesa, la proposizione stessa della causa appare antieconomica, troppo rischiosa e, dunque, poco funzionale alle parti: il che sconsiglia, in linea di massima, l’arbitrato per risolvere cause bagatellari.
I temi dei costi dell’arbitrato, della qualità delle decisioni, della terzietà e competenza del designato, sono particolarmente sentiti dalle istituzioni arbitrali che, al fine di ampliare il bacino delle controversie, da tempo si stanno orientando verso la semplificazione dei procedimenti ed una riduzione dei costi[3], quale passaggio obbligato al fine di sostenere la domanda di soluzione arbitrale anche verso controversie di minor (medio) valore.
Tuttavia, l'interesse all’incremento delle controversie devolute alla giustizia privata non è confinato alle istituzioni arbitrali, visto che la più ampia diffusione dello strumento arbitrale nella risoluzione del contenzioso d’impresa, interessa principalmente lo Stato in quanto può afferire benefici macroeconomici al sistema economico facilmente intuibili, anche in termini di attrazione dei capitali esteri.
Accade che solo pochi tra gli imprenditori italiani (ed i professionisti che li adiuvano), sono persuasi delle necessità di slegarsi da una anacronistica ricerca del giudice civile per risolvere le controversie, e, dunque, vi ricorrono, nonostante le note disfunzioni e gli elefantiaci tempi processuali.
Ciò avviene nonostante sia oramai largamente diffusa la consapevolezza che -quando insorge una lite- la sentenza il più delle volte giungerà tardivamente, posto che il dato della vita media delle società è più basso di quello della durata di un processo e ciò, dunque, lascia presagire che all’esito del processo una delle parti (attrice o convenuta che sia) potrebbe essere divenuta incapiente, fallita o addirittura estinta: la statuizione del Giudice rischia di rimanere il più delle volte inapplicata (così come la norma sostanziale che la sentenza solo tardivamente applica), con effetti pregiudizievoli evidenti non solo di carattere economico ma anche di distorsione del mercato e perdita di competitività che grava soprattutto sulle imprese che seguono le regole.
Su questa distorsione è doveroso che il legislatore intervenga: un sistema efficiente e più celere di giustizia arbitrale al servizio del mondo produttivo, può renderci più competitivi.
Molto dunque avrebbe interesse a fare il legislatore (anche regionale) per far aumentare i numeri delle cause decise dalla giustizia privata, per fare propri i vantaggi macroeconomici (sul sistema delle imprese e dunque sulla competitività) che un effettivo sviluppo della giustizia arbitrale afferirebbe, vantaggi che -ad avviso di chi scrive- supererebbero quelli afferiti dall’effetto deflattivo che pure potrebbe registrarsi sul sistema giustizia ove la diffusione della soluzione arbitrale divenisse statisticamente significativa.
Si vuol dire che l’arbitrato può assicurare tempi brevi (e dunque un rapido cambio di passo) nella risoluzione del contenzioso di impresa e, dunque, nell’efficienza dei rapporti tra imprese e nella gestione delle risorse finanziarie sicchè, correttamente, la riforma Luiso ne riconosce la centralità.
Tuttavia, in assenza di idee nuove e coraggiose od azioni più concrete del legislatore (volte al decollo e sviluppo della soluzione arbitrale delle controversie) è facile presagire che anche questa riforma difficilmente sarà artefice dell’auspicato cambio di passo.
L’interessante novità dell’estensione dei poteri cautelari agli arbitri[4], introdotta nel testo finale licenziato dal Senato, è tuttavia condizionata alla espressa previsione delle parti; ciò tuttavia renderà difficilmente operativa l’innovazione a lite insorta (a meno che non vi sia una insolita convergenza di volontà in una fase “complessa” del rapporto) ed è, dunque, prevedibile, rimarrà limitata alle ipotesi in cui il potere sia espressamente regolamentato nella convenzione di arbitrato.
La riforma, come detto, si occupa di assicurare maggior terzietà dell’arbitro e ciò è certamente positivo (ed anche doveroso) ma non mi sembra poter generare -in tempi brevi- una nuova e più consistente domanda di arbitrato; per vero anche rispetto a tempi più lunghi, non mi pare che tale corretta preoccupazione (che ha un elevato valore culturale) elimini il problema, sicchè -anche sotto questo profilo- la novella non sembra costituire un fattore “strutturale” che consenta da solo la necessaria crescita della cultura dell’arbitrato.
Vi sono anche altre innovazioni sicuramente opportune (come la risoluzione a 6 mesi del termine di impugnazione del lodo; l’inserimento delle norme in materia di arbitrato societario nel c.p.c.), tuttavia appaiono cose giuste ma di impatto limitato e, dunque, marginali in una logica di maggior diffusione dello strumento.
La stessa dichiarazione di indipendenza o l’integrazione dei motivi di astensione, pur condivisibili, non appare rivoluzionaria, viene già richiesta da anni da molte Camere arbitrali[5] che hanno interesse alla massima trasparenza dei propri procedimenti. La prevista sanzione di decadenza dell’arbitro[6] tuttavia dà un segnale molto importante che va nella direzione giusta.
Per vero, nemmeno la lettura degli emendamenti (apportati all’art.11 del DDL 1662[7]) fa intravedere grande fantasia (o suggerimenti di rilievo) viceversa apparendo centrale solo la (pur legittima) preoccupazione di contrastare la “patologia” dell’arbitro non indipendente[8], di assicurare la trasparenza e rotazione delle nomine presidenziali[9], come se la domanda di giustizia privata sia realisticamente condizionata dall’imparzialità nella designazione degli arbitri da parte dei Presidenti dei Tribunali.
Mi pare più realistico affermare che la domanda arbitrale è soffocata dal troppo diffuso sospetto che gli arbitri possano non essere imparziali, sospetto radicato negli imprenditori e nei professionisti, anche per noti fenomeni corruttivi del passato.
Questi “spettri” del passato (anche in termini di costi esagerati dei procedimenti) sono frutto di patologie (spesso generatisi nel contenzioso degli appalti pubblici), che rispecchiano quella che definirei come “sub cultura” dell’arbitrato, purtroppo, largamente diffusa nelle classi imprenditoriali e professionali.
Un esempio di tale radicata sub cultura arbitrale è la diffusa (quanto errata) convinzione che l’arbitro nominato dalla parte debba svolgere un ruolo “di parte” nel Collegio arbitrale, perdendo in equidistanza; tale radicata convinzione sopravvive tra i più nonostante da molti lustri la dottrina abbia rimarcato l’obbligo di equidistanza e lo stesso legislatore con la legge n.5/2003 abbia dimostrato che la partecipazione dei litiganti alla designazione non sia elemento qualificante dell’arbitrato.
La grave arretratezza della cultura arbitrale in Italia -che ha anche radici storiche[10]- ed è dunque il vero nodo da sciogliere.
Su questo aspetto la riforma nemmeno tenta di apprestare soluzione perché non si pone obiettivi ambiziosi.
Tuttavia solo una estesa diffusione della cultura dell’arbitrato, dei nuovi approdi dottrinali e giurisprudenziali, della comprensione che va costruita anche una seria “alternativa privata“ e che solo l’arbitrato amministrato organizzato e di alto profilo può generare una svolta in grado di superare gli inevitabili strascichi di un passato mai brillante ed anzi, talvolta, anche poco limpido.
E’ dunque mia opinione che la riforma dovrebbe intervenire innanzitutto sulla questione culturale che frena la diffusione delle clausole arbitrali.
Sono così poco coraggiosi i tentativi contenuti in alcuni emendamenti di dare incentivi per ottenere un diverso risultato: essi si limitano alla comprensione di dover incentivare il ricorso all’arbitrato ma propongono palliativi (su una strada che non è da non trascurare), utilizzando tuttavia solo la leva dei benefici fiscali[11] o di accordi sui compensi o attraverso la previsione di un costo fisso, correttamente rilevando che i costi arbitrali sono uno dei limiti alla diffusione della giustizia privata e, dunque, cercando di utilizzare la leva economica quale possibile soluzione.
In altri emendamenti è emersa la consapevolezza di dover innovare il sistema di giustizia arbitrale, puntando sulla costruzione di una vera e propria alternativa di giustizia privata strutturata. Tali emendamenti tuttavia hanno veicolato idee troppo acerbe e poco strutturate, ma che vanno qui evidenziate quale possibile punto di partenza per una riflessione ed un intervento innovativo e coraggioso : in tal senso è l’emendamento n. 11.12/6 che al punto g-quater) propone di << prevedere la possibilità di stipulare convenzioni tra il Ministero della Giustizia e alcuni organismi arbitrali, per occuparsi delle controversie di cui sopra, ai quali riconoscere un contributo forfettario da finanziare, ad esempio, con una tassa di scopo di importo minimo, o in alternativa attribuire un contributo statale per le associazioni di proprietari e degli amministratori di condominio che costituiscono un organismo arbitrale>>.
Altra soluzione è quella di prevedere camere arbitrali[12] presso ciascun Consiglio dell’Ordine con un articolato emendamento (11.12/1) che ha il pregio di capire che è la classe forense il soggetto designato a sostenere, con i propri iscritti, il sistema della giustizia privata; tuttavia giunge a tale soluzione senza adeguata consapevolezza degli strumenti e delle risorse necessarie a strutturare un adeguato servizio. Perché per la mia esperienza quasi tutti gli avvocati si dichiarano competenti a rivestire degnamente la veste di arbitro, ma non è detto che realisticamente tutti possiedano i numeri necessari a tale ruolo.
L’esperienza felice dell’ABF ha fatto tesoro degli errori del sistema delle Camere arbitrali presso le Camere di Commercio introdotto nel 1993, che fatta salva qualche eccezione come la CAM e poche altre, non hanno saputo dimostrare trasparenza nei meccanismi di selezione e designazione degli arbitri, così non riuscendo a costruire la fiducia del sistema imprenditoriale.
La Banca d’Italia ha invece operato una rigida scelta dei propri arbitri per competenza e prestigio ed ha strutturato segreterie competenti con il compito di supportare e coordinare gli arbitri, segreterie che costituiscono dunque il fulcro di un sistema ben organizzato in cui l’Arbitro è consapevole dei doveri e della responsabilità della decisione non solo nei confronti delle parti ma anche dell’Istituzione.
La predeterminazione di arbitri competenti ed autorevoli (ovvero la ragionevole presupposizione che la Camera designerà arbitri realmente competenti e terzi) è a mio avviso un elemento essenziale per la credibilità di una istituzione arbitrale. Perché il vero nodo non è solo quello di selezionare gli arbitri ma soprattutto quello di creare una domanda di giustizia privata che possa sostenere organizzazioni strutturate a tale scopo.
Appare tuttavia complesso per un Ordine professionale elettivo, poter effettuare una reale selezione per competenza tra i propri iscritti dove, come detto, ritengo questo sia invece passo necessario e caratterizzante per una istituzione arbitrale che sia efficiente e funzionale e, pertanto, idonea a generare la fiducia del sistema delle imprese.
Sebbene in questi ultimi emendamenti emerga la consapevolezza che la crescita della domanda arbitrale debba essere legata ad un processo di strutturazione della giustizia privata, le soluzioni indicate non paiono adeguate: nè a creare organizzazioni di segreteria camerale strutturate (come quelle create dalla Banca d’Italia nelle sedi dell’ABF) in grado di assicurare con il loro intervento tempi e standard qualitativi uniformi, né tantomeno a mettere a disposizione le risorse economiche necessarie a supportare istituzioni arbitrali idonee a captare la fiducia del sistema delle imprese.
Il colossale flop della Riforma Renzi (che prevedeva la possibilità di trasferire cause dalla giustizia togata a quella arbitrale) avrebbe dovuto far comprendere le criticità di riformare un sistema tanto complesso e delicato:
- la difficoltà di arrivare ad una convenzione arbitrale a lite insorta (quando il giudizio è iniziato è già troppo tardi per trovare un consenso congiunto delle parti all’arbitrato);
- nessun risultato si può raggiungere senza adeguate iniziative di promozione della giustizia privata ed investimenti nella cultura dell’arbitrato;
- l’elemento della fiduciarietà che connota l’esperienza arbitrale va guadagnato e sempre alimentato dalla qualità delle decisioni e da meccanismi, almeno reputazionali, di controllo dell’operato degli arbitri.
Bisogna dunque giungere alla scelta arbitrale prima che insorga la lite (inserendo le clausole arbitrali già nei contratti) e vanno assicurati seri punti di riferimento istituzionale per consentire alle parti nel contratto di effettuare, senza timore, la scelta arbitrale, potendo contare sulla reputazione non solo dell’arbitro o degli arbitri nominandi ma delle istituzioni che li designano, e che hanno interesse -più di tutti- alla qualità della decisione (e non a chi vinca o chi perda la singola lite).
***
E’ mia opinione che un incremento della giustizia arbitrale sia possibile e che lo strumento per perseguire tale obiettivo sia di incentivare le imprese all’uso delle clausole arbitrali: una riforma efficiente dovrebbe perciò puntare l’obiettivo concreto dell’inserimento delle clausole arbitrali nei contratti d’impresa, essendo questo il primo passo che deve essere incentivato.
Cultura dell’arbitrato significa far comprendere gli effetti positivi che l’inserimento della clausola arbitrale in un contratto produce:
-di più attento adempimento al contratto (effetto che talvolta evita il contenzioso): succede che le parti che hanno sottoscritto una convenzione arbitrale, di solito, evitano violazioni contrattuali che potrebbero portare ad una rapida soccombenza in sede arbitrale;
-i maggiori costi dell’arbitrato inoltre limitano la proposizione di alcune cause, come quelle bagatellari, i cui costi superano i benefici economici ottenibili;
-i tempi celeri di risoluzione del contenzioso arbitrale riducono inoltre la piaga delle cause strumentali, cioè quelle proposte dalla parte che ha torto per prendere tempo e così celare la propria difficoltà o cattiva volontà di adempiere.
I (maggiori) costi del contenzioso arbitrale e, soprattutto, i più ridotti tempi di risoluzione della lite inducono nelle parti effetti di maggiore prudenza nell’esecuzione del contratto, proprio per evitare il rischio di vedersi addossare (in tutto od in parte) i costi dell’arbitrato che, specie in controversie di valore elevato, possono essere di oggettivo rilievo economico[13].
Non è arbitrario affermare che la clausola arbitrale riduce il contenzioso già solo per la sua esistenza nel contratto e che essa può avere effetti deflattivi positivi persino quando il procedimento arbitrale non viene avviato (perché le parti correttamente adempiono il contratto ovvero si persuadono che, per i valori in campo, i costi dell’arbitrato rendono la causa rischiosa e potenzialmente antieconomica).
E’ la clausola arbitrale (con la rinuncia alla giurisdizione togata) a portare subito l’effetto deflattivo ricercato dalla riforma, sicché se le imprese fossero adeguatamente incentivate ad inserire nei contratti le clausole arbitrali si potrebbe cogliere non solo l’auspicata accelerazione della risoluzione del contenzioso d’Impresa (quando le parti giungono a chiedere la soluzione della controversia), ma un serio effetto deflattivo sul contenzioso togato.
***
Prima di proseguire debbo premettere che ho una visione di parte, rivestendo una carica in una istituzione che amministra a livello locale procedimenti arbitrali: credo nelle possibilità di crescita della giustizia privata e, soprattutto, nelle opportunità che lo sviluppo organizzato della giustizia arbitrale amministrata può afferire all’economia regionale e nazionale.
La costituzione di una rete di Camere arbitrali credibili (realmente interessate alla qualità del servizio) e specializzate nel contenzioso d’impresa, è un passaggio a mio avviso obbligato per la creazione di un “polo” di giustizia privata stabile, che garantisca efficienza nei tempi (che la riforma del 2006 ha eccessivamente ampliato) e qualità delle decisioni.
Solo una giustizia privata competente, celere, efficiente ed organizzata, può soddisfare quella domanda di giustizia che il mercato richiede ed assicurare un livello stabile (e non occasionale) di qualità del lodo, il cui esito sia “prevedibile” per la parte che ha ragione, sì da divenire un credibile punto di riferimento per gli operatori, costruendo nel tempo quel (necessario) rapporto fiduciario con il tessuto imprenditoriale e finanziario.
Non guasterebbe dunque la strutturazione di un sistema di giustizia privata fondato su di una reale concorrenza tra le camere arbitrali basato sulla qualità dei lodi, sui tempi di definizione, sui costi, sulla “tenuta” dei lodi in sede di impugnazione, ecc.. (ed altro) anche, se si vuole, con meccanismi di controllo (come il referaggio indipendente, forme di convenzionamento od altro), sempre valorizzando i tempi celeri di risoluzione, che sono il sale della economia contemporanea.
E’ mia opinione che se ci si spingesse a voler creare un polo di giustizia privata, istituzioni arbitrali credibili, buoni lodi e buone pratiche potrebbero “sostenere” l’auspicato incremento della domanda di giustizia privata.
La via maestra è quella di innalzare la qualità dei lodi perché di questo vi è necessità.
Questo è un risultato che l’incentivazione dell’arbitrato amministrato (più che l’arbitrato ad hoc) può far conseguire perché, almeno in via di principio, l’istituzione arbitrale dovrebbe assicurare risultati più affidabili essendo interessata ad un ritorno reputazionale che l’arbitrato ad hoc invece non produce.
Nell’arbitrato istituzionale non solo vi sono meccanismi di selezione degli arbitri, assistenza delle parti, attenzione alla qualità della decisione finale ed al costo che l’arbitro può chiedere alle parti, ma soprattutto vi è un controllo dell’Organizzazione durante il procedimento e sull’operato degli arbitri posto che gli “errori” degli arbitri si ripercuotono inevitabilmente sulla istituzione che li ha nominati
Nell’arbitrato ad hoc -a valle della designazione- non vi è più alcun controllo sull’operato degli arbitri se non quello occasionale (di un altro giudice) in fase di impugnazione. Lo stesso Presidente del Tribunale che designa l’arbitro può valutarne l’operato solo ove l’arbitrio proponga ricorso ex art.814 c.p.c.
Appare dunque auspicabile la creazione di un sistema di “giustizia privata” strutturato che riconosca un ruolo alle istituzioni arbitrali chiamate a rispondere adeguatamente ad una domanda di giustizia celere, sostenuta da una crescente consapevolezza del ruolo e delle potenzialità dell’arbitrato amministrato attraverso un percorso culturale largamente condiviso dagli operatori economici.
Sarebbe tuttavia necessaria una operazione, anche mediatica, molto più complessa di quella messa in campo per la mediazione.
Una domanda “strutturale” (e non episodica) di giustizia arbitrale non può che nascere da percorsi di sensibilizzazione dell’imprenditoria e delle categorie professionali divulgando, dunque, la cultura dell’arbitrato nella società, non solo nei ristretti ambienti dei professionisti, ma attraverso l’ausilio di professionisti della comunicazione che spieghino adeguatamente -e ad una platea più estesa- le ragioni ed i vantaggi della soluzione arbitrale delle controversie.
E’ dunque, a mio avviso, imperativo che vi siano risorse pubbliche da investire anche e soprattutto nella divulgazione della cultura arbitrale.
***
Il sistema dell’arbitrato delle opere pubbliche (ora dei contratti pubblici) che ha una storia recente e travagliata, ha un passato antico[14] essendo stato tradizionalmente risolto in arbitri il contenzioso degli appalti della p.A.
Negli ultimi 30 anni abbiamo assistito a molte evoluzioni in questa materia: la battuta di arresto con il noto divieto assoluto di devoluzione delle controversie in arbitrato[15]; il noto intervento della Consulta[16] in tema di divieto di arbitrato obbligatorio; la reintroduzione dell’arbitrato delle OO.PP. con la L.n.215/1996[17]. Ed infine la legge di riforma n.415 del 1998 (cui hanno fatto seguito plurimi aggiustamenti) che ha introdotto il sistema dell’arbitrato necessariamente amministrato, decretando la fine del regime previgente del capitolato delle OO.PP.[18]. La riforma del 2012 (L.190/2012) che ha introdotto l’odierno sistema di arbitrato amministrato dalla Camera dei Contratti pubblici presso l’ANAC.
Ebbene nonostante sia evidente che con l’arbitrato Camerale si sia ha inteso ripristinare un certo vantaggio “istituzionale” e “di posizione”, subito colto dalla dottrina più attenta[19] , alcune scelte poco comprensibili, hanno portato al rapido declino dell’arbitrato in siffatta materia, essendosi negli ultimi anni inaridita una domanda tradizionalmente sostenuta[20].
Questo progressivo abbandono dell’istituto proprio nel settore di maggior interesse dell’economia, in cui si gioca una importante partita tra p.A. e sistema delle imprese, poteva (e doveva) essere oggetto dell’intervento riformatore, essendo la risoluzione arbitrale tra imprese e p.A. un nodo centrale in vista dell’auspicato rilancio dell’economia.
Le premesse poste nel progetto di riforma di voler valorizzare l’arbitrato erano un’occasione imperdibile per rimediare al vulnus che il legislatore aveva inferto anni fa alla cultura dell’arbitrato con scelte normative discutibili -che seppure giustificate dall’asserito sperpero del denaro pubblico- non sono più sostenibili[21] oltre a risultare oggi incoerenti con le linee di azione della riforma.
L’arbitrato dovrebbe costituire la corsia preferenziale anche e soprattutto per il contenzioso della p.A. con il sistema delle imprese, dove invece la sua odierna sottoutilizzazione è a dir poco preoccupante visto che il primo degli obiettivi concreti a sostegno del sistema delle imprese dovrebbe essere quello di accelerare il trasferimento delle risorse alle imprese, anche attraverso la più celere risoluzione del contenzioso con la p.A.[22]
Quando la p.A. è debitrice può troppo agevolata a giocare “di rimessa” dinanzi al Giudice togato e troppo spesso si avvantaggia dei tempi del processo togato (con effetti molto negativi sul sistema delle imprese); senza contare che quando vengono in gioco progetti, fondi pubblici, esigenze di rendicontazione, ecc.. con scadenze temporali improrogabili, i lunghi tempi della giustizia togata divengono un vero e proprio freno del sistema economico e ragione di perdita dei finanziamenti, questi ultimi, il più delle volte, legati al rispetto di termini rigidi incompatibili con quelli della giustizia togata.
E’ dunque lo Stato a dover mostrare di voler rinunziare a quell’effetto dilatorio che gli consente anni ed anni di limbo prima di effettuare i pagamenti dovuti, perché è oggi un imperativo non solo liberare risorse economiche (e le relative riserve di bilancio) a favore del sistema delle imprese (spesso bloccate per lustri), ma anche rendere più trasparenti i bilanci di enti pubblici ed imprese private, viceversa per anni afflitti (e resi opachi) da iscrizioni (fedeli o poco fedeli) circa il possibile esito del contenzioso e da un blocco di risorse che incide pesantemente sul sistema delle imprese e loro possibilità di investimento.
L’alternativa all’arbitrato in questa materia sono corsie preferenziali e procedimenti accelerati dinanzi al Giudice togato, soluzione quest’ultima che lo Stato italiano sembra non potersi permettere.
Deve dunque puntarsi più coraggiosamente sull’arbitrato specialmente nel contenzioso dei contratti pubblici rendendo l’arbitrato la regola (e con possibilità riconosciuta ad entrambe le parti di svincolarsi, ma solo prima che il contenzioso insorga).
La normativa in tema di arbitrato dei contratti va infatti rivista come sollecitato dalla dottrina: << lo scarso ricorso all’arbitrato amministrato nei contratti pubblici oggi comunque non si giustifica, in quanto quest’ultimo rappresenta uno strumento flessibile e vantaggioso in termini di riduzione dei costi, dei tempi e di miglioramento della qualità>>[23].
Se l’arbitrato è un valido strumento, come ampiamente riconosciuto anche nel progetto di riforma, non si comprende perché esso non debba essere utilizzato appieno per risolvere il contenzioso tra p.A. ed impresa, risoluzione che in questo momento storico -in cui le risorse per il rilancio dell’economia sono nella mano pubblica- appare paradossale.
Vanno dunque eliminate norme (poco coerenti sul piano teorico) come il divieto di compromesso a pena di nullità (ed altre limitazioni previste nella normativa sui contratti pubblici), che pagano dazio ad una logica di sospetto di corruttele, che andavano e vanno semmai combattute dallo Stato con più adeguati strumenti di contrasto ai reati e non invece depotenziando -a scapito di altri valori- il sistema di risoluzione delle controversie.
La p.A. deve potersi svincolare dalla scelta arbitrale, ma solo in casi specifici e per ragioni serie e motivate, sì che la scelta arbitrale effettuata nel bando e confermata nel contratto non possa venire meno solo per ragioni dilatorie od attribuendo uno (squilibrato) potere di ripensamento ad uno solo dei contraenti.
La tradizionale diffidenza delle p.A. rispetto allo strumento dell’arbitrato ed al temuto abuso di tale strumento per dilatare le debenze della Committenza pubblica, si possono superare agevolmente con altri strumenti.
De jure condendo, non sarebbe complesso prevedere un nuovo regime dell’impugnazione che porti in subiecta materia l’odierno appello limitato verso un appello pieno (completando una diversificazione con l’arbitrato del codice di rito già iniziata con l’unificazione del giudizio bifasico prevista dall’art.209, co.15, Codice dei contratti).
Se si vogliono garanzie (che il denaro pubblico non venga sperperato) si preveda pure un controllo pervasivo ed integrale del Giudice togato in sede di impugnazione del lodo, non escludendo che si tratti di un novum judicium (magari ad una sezione specializzata che debba definire questo contenzioso in un tempo accelerato limite). Ed ove ciò non basti, in caso di impugnazione, si potrebbe rimettere al giudice dell’impugnazione, la possibilità di rendere il lodo esecutivo in tutto od in parte, alla luce della serietà dei motivi di impugnazione. Le soluzioni di “garanzia” dunque possono essere le più varie.
Si vuol dire che non è difficile tutelare maggiormente la p.A. dal temuto rischio di ingiustificato esborso di denaro pubblico (istituendo un pregnante controllo giurisdizionale), al tempo stesso assicurando la rapida risoluzione del contenzioso (giungendo così al secondo grado di merito dinanzi al Giudice togato in tempi ridottissimi).
Negli ultimi trent’anni si è puntato sulle preclusioni e si è tentato di disincentivare il contenzioso, ma con benefici marginali.
Si provi coraggiosamente a puntare su velocità e qualità delle decisioni, privilegiando un primo grado arbitrale, se del caso integralmente rivedibile da parte della Corte d’appello (ma prevedendo una corsia preferenziale ed accelerata) come si conviene alle necessità di una economia competitiva: un doppio grado così strutturato potrebbe definire veramente in pochi anni le due fasi di merito.
Un risultato in tal senso è raggiungibile e accelererebbe la velocità del contenzioso dove più serve al sistema economico.
La tendenziale maggiore stabilità del lodo può fisiologicamente portare alla definizione del contenzioso di impresa in tempi compatibili con la vita delle società.
I ritorni economici (e sul sistema delle imprese) di un ampio sviluppo di una giustizia arbitrale d’impresa potrebbero essere sorprendenti.
I territori che si presentino con una giustizia arbitrale funzionante (per numeri di procedimenti) sono maggiormente attrattivi: per gli investitori stranieri, per il funzionamento delle reti d’impresa, queste ultime meglio gestibili sulla scorta di una giustizia arbitrale efficiente.
L’inserimento delle clausole arbitrali nei contratti va subito incentivato economicamente e/o fiscalmente perché, come detto, è l’inserimento della clausola arbitrale che porta subito effetti positivi, impedendo la proposizione dinanzi al Giudice togato del contenzioso.
Al tempo stesso va organizzata una rete di istituzioni arbitrali credibili che effettivamente perseguano la qualità dei lodi, e competano sui tempi di risoluzione sui costi[24], sulla capacità di offrire servizi ed assicurare l’applicazione del diritto.
Sarebbe utile alla competitività che il Giudice togato (con i suoi tempi) arrivi:
-dopo che la clausola arbitrale ha limitato il contenzioso;
-dopo che gli arbitri si sono pronunziati;
-prendendo il buono già fatto e correggendo, senza preclusioni, gli errori degli arbitri, in un tempo ridotto e limite.
In conclusione, al di là della condivisione di questi spunti di riflessione, si può e si deve essere più coraggiosi perché non si può accettare l’ennesima riforma “di facciata” destinata a sicuro insuccesso[25] o peggio a deludere ogni aspettativa di rilancio economico.
[1] RADICATI DI BROZOLO, L’Arbitrato come sistema transnazionale di soluzione delle controversie: caratteristiche e rapporto con il diritto interno, in Riv.Arb., 2020, 1 e s., che mette in evidenza che <<l’arbitrato commerciale internazionale si può considerare alla stregua di un vero e proprio sistema internazionale di soluzione delle controversie contraddistinto da regole e procedure proprie>> e che pure le vicende collegate con il proprio paese, in collegamento con altri ordinamenti, potrebbero sfuggire dall’applicazione del diritto interno.
[2] Avverte RADICATI DI BROZOLO, L’Arbitrato come sistema transnazionale di soluzione delle controversie.., cit., Id., 3, che <<le vicende arbitrali con collegamenti a una pluralità di ordinamenti sono nella pratica estremamente frequenti ea causa dell’internazionalizzazione della vita economica e dell’elevatissimo interscambio tra economie di paesi diversi>>
[3] https://www.camera-arbitrale.it/it/arbitrato/arbitrato-semplificato.php?id=705 ; ma in tal senso vedasi anche https://www.tribunalearbitralebari.it/t-a-b/l-arbitrato-amministrato-tab il <<L'attività di consulenza ed assistenza offerta dalla Segreteria del TAB risulta così centrale anche nel raggiungere l'obiettivo prioritario della riduzione dei costi, obiettivo che il TAB dunque si prefigge non solo attraverso tariffari competitivi, ma soprattutto attraverso l'attività della Segreteria volta a razionalizzare alcune spese, come quella del consulente tecnico (che può entrare a pieno titolo nel Collegio) ed a realizzare con la collaborazione delle parti l'obiettivo del c.d. "l'arbitrato su misura>>
[4] Atti parlamentari – 55 – Nn. 1662 e 311-A XVIII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI – DOCUMENTI (Testo proposto dalla Commissione), Art.13 co1, lett.c) <<prevedere l’attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell’ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convezione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge; mantenere per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nei soli casi di domanda anteriore all’accettazione degli arbitri; disciplinare il reclamo cautelare davanti al giudice ordinario per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di procedura civile e per contrarietà all’ordine pubblico; disciplinare le modalità di attuazione della misura cautelare sempre sotto il controllo del giudice ordinario;>>
[5] Così ad esempio https://www.tribunalearbitralebari.it/servizi-tab/regolamento : <<Dopo la designazione dell’arbitro o degli arbitri e prima di procedere alla costituzione dell’Organo monocratico o Collegiale, la Segreteria è tenuta ad acquisire dagli arbitri la dichiarazione di “divulgazione ed indipendenza” e, subordinatamente ad essa, di accettazione dell’incarico;>> (Art.28, co.15 Regolamento del Tribunale arbitrale specializzato di Bari – T.A.B.) del 2016
[6] Sanzione confermata nel testo licenziato dal Senato con l’aggiunta della reintroduzione della facoltà di ricusazione per gravi motivi di convenienza : <<a) rafforzare le garanzie di imparzialità e indipendenza dell’arbitro, reintroducendo la facoltà di ricusazione per gravi ragioni di convenienza nonché prevedendo l’obbligo di rilasciare, al momento dell’accettazione della nomina, una dichiarazione che contenga tutte le circostanze di fatto rilevanti ai fini delle sopra richiamate garanzie, prevedendo l’invalidità dell’accettazione nel caso di omessa dichiarazione, nonché in particolare la decadenza nel caso in cui, al momento di accettazione della nomina, l’arbitro abbia omesso di dichiarare le circostanze che, ai sensi dell’articolo 815 del codice di procedura civile,possono essere fatte valere come motivi di ricusazione;>>
[7] http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/testi/52664_testi.htm
[8] Ciò attraverso una disciplina più ampia della ricusazione v. emendamenti nn. 11.3, 11.4, 11.5, 11.6, 11.12/2, 11.12/3
[9] V. emendamenti nn. 11.12/7; 11.12/8; 11.12/9 passati nella lett. h del testo finale del Senato: << h) prevedere che, in tutti i casi, le nomine degli arbitri da parte dell’autorità giudiziaria siano improntate a criteri che assicurino trasparenza, rotazione ed efficienza.
[10] Ne parla già MORTARA nel Commentario del Codice e delle Leggi di Procedura civile, III vol., 1903, pag.44 <<La ricerca statistica analitica sul proposito e tutt’affatto recente (anni 1989,1990) e appunto perciò i dati che fornisce hanno maggiore importanza in quanto dimostrano il meschino e stentato sviluppo della istituzione dopo trentacinque anni dalla promulgazione del codice di procedura>>
[11] V. emendamenti nn. 11.1, 11.3, 11.7; 11.12/3, 11.12/10 Ma quello di maggior interesse mi sembra l’emendamento 11.12/6 che propone al punto g-ter) di <<prevedere agevolazioni fiscali come credito di imposta in misura corrispondente alle spese sostenute per il compenso corrisposto all'arbitrato ed al difensore;>>
[12] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Emendc&leg=18&id=1300727&idoggetto=1150498
[13] Non è un caso che molti procedimenti arbitrali si concludano prima della pronunzia del lodo. Dai dati della CAM rileviamo che le procedure introdotte ed abbandonate prima dell’emissione del lodo non sono lontane dal 50%
[14] Così MORTARA, Commentario del Codice delle leggi di procedura civile, III, 96, che riferendosi agli anni 1899-1900 <<Si direbbe che le pubbliche amministrazioni reputino atto di suprema abilità incatenare i privati , seco loro contraenti, fra i ceppi di una clausola compromissoria>>
[15] La L.11.2.1994, n.109 dispose all’art.32 che <<Nei capitolati generali o speciali non può essere previsto che la soluzione delle controversie sia deferito ad un Collegio arbitrale ai sensi dell’art.806 e ss. c.p.c.>>. Su tale norma si segnala lo scritto di CANNADA BARTOLI, L’arbitrato nella legge quadro sui lavori pubblici, in Riv. Arb., 1994,n.423
[16] V. in particolare Sent.Corte Cost n.152/1996 che ha imposto la facoltatività della via arbitrale Corte Cost., sent.n.33del 13.2.1995
[17] Su questo intervento normativo, v. CANNADA BARTOLI, L’arbitrato nella Legge 2 giugno 1995, n.216 sui lavori pubblici, in Riv.Arb.,1996, 463 e ss.
[18] Su quella riforma v. SPAGNOLO, La nuova normativa in tema di arbitrato delle opere pubbliche ex art.10 L.n.415/1998, in Corr.giur., 1999, 623 e ss.; in particolare, v. pag.625 , dove si riferisce che con il comma 4 dell’art.32 il legiltaore ha adottato una disciplina transitoria che dispone, dalla data di entrata in vigore del regolamento, che cessano di avere efficacia gli artt.42,43,44,45,46,47, 48,49, 50 e 51 del capitolato generale d’appalto
[19] VERDE, L’arbitrato nelle controversie in materia di opere pubbliche: un problema ancora in cerca di una soddisfacente soluzione, in Corr. Giur., 2004, 522 e ss.;
[20] Per una disamina delle questione e dei numeri (contenuti in una decina l’anno v. LOMBARDINI, https://www.diritto.it/alcune-osservazioni-su-dati-recenti-in-tema-di-arbitrato-nei-contratti-pubblici/ <<Il problema dello scarso utilizzo dello strumento arbitrale è più accentuato in ambito di arbitrato per la soluzione di controversie in materia di esecuzione dei contratti pubblici, come già evidenziava la Relazione annuale 2014 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione alla Camera dei deputati sulla “Raccolta dei dati relativi alle attività della Camera arbitrale per l’anno 2014” [16].
E il cahier des doléances continua: nella Relazione annuale 2015, nella Relazione annuale 2016, nella Relazione annuale 2017, nonché nella Relazione annuale 2018 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, con il correlato Intervento del Presidente Raffaele Cantone, infatti i dati sono simili e la situazione non migliora [17]>>; ma anche vedasi della stessa Autrice, Il difficile presente dell’arbitrato dei contratti pubblici e l’introduzione di altri nuovi rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale: il collegio consultivo tecnico, in Riv.Arb., 2019, 841 e ss.; dove si evidenzia a pagg.855 una <<tendenza alla “fuga” dall’arbitrato in materia>>
[21] Sul punto VERDE in << L’arbitrato nelle controversie in materia di opere pubbliche, cit., 522, a rammentare che è lo stesso Consiglio di Stato, nella nota sent. n.6335/2003 a riconoscere che <<il ricorso all’arbitrato nel settore dei lavori pubblici è auspicabile perché è il più idoneo a garantire “le esigenze di rapidità e di specializzazione intrinsecamente connesse al contenzioso in materia>>
[22] G. MICCOLIS, LA GIUSTIZIA COME I SOLDI: “POCA, MALEDETTA E SUBITO” (Brevi considerazioni sul maxiemendamento d.d.l. 1662/S/XVIII) in …. << La crisi della pubblica amministrazione incide pesantemente sulla crisi della giustizia civile>>.
[23] Lombardini, Alcune osservazioni, cit., che riporta altri Autori, citati in nota
[24] In tal senso sono molti gli emendamenti al progetto di riforma che rimarcano necessità di accordi sui compensi (emendamenti nn 11.3. e 11.12/3 terzietà e potere di ricusazione riduzione dei costi
[25] In tal senso, la lucida visione di G. MICCOLIS, LA GIUSTIZIA COME I SOLDI: “POCA, MALEDETTA E SUBITO”(Brevi considerazioni sul maxi-emendamento d.d.l. 1662/S/XVIII) in …. <<non è certamente costruendo “ponti d’oro” alla conciliazione o cercando di demonizzare l’accesso alla giustizia statale che si può ridurre il contenzioso e, conseguentemente, “svuotare di impegni” il tempo del giudice. La crisi della pubblica amministrazione incide pesantemente sulla crisi della giustizia civile. Il dissesto, l’inefficienza e la disorganizzazione della P.A., da un lato, e l’enorme debito pubblico, dall’altro, sono forse le cause principali dirette e, per l’effetto moltiplicatore, indirette dell’enorme numero di cause civili che intasano i ruoli giudiziari>>